Perché hai scelto un cuore per raccontare la tua azienda?
É un elemento così semplice e immediato, vero? Eppure non è stato facile per me capire subito che tutto arriva da lì: se “quello” batte il resto viene da sé.
È stato un caro amico, cui riconosco una particolare sensibilità nel cogliere l’essenza delle cose, ad aiutarmi nella scelta. Sulle prime però ammetto che non mi convinse: era talmente semplice che temevo risultasse banale. Lo accantonai e mi affidai a professionisti del settore per la creazione del nome e dell’identità aziendale.
Solo dopo aver vagliato molte alternative mi resi conto che dovevo tornare sui miei passi e riconoscere che l’essenza del mio progetto risiedeva proprio lì, nel mio cuore, in quel cuore.
Avere a cuore significa avere passione per qualcosa, nel mio caso passione per la gastronomia ed in particolare per quella spagnola.
Avere a cuore significa amare e quella per i prodotti iberici è una storia d’amore che è nata proprio grazie ad una donna spagnola, Emi, colei che conobbi sul finire degli anni ’90 quando approdai per la prima volta in questo paese e che sposai alcuni anni dopo.
Oltre a mia moglie Emi devo molto ad Agustín, suo cugino, sivigliano travolgente ed appassionato di flamenco. Mi ha sempre accolto nella sua casa mostrandomi fiero un Patanegra pronto al taglio. Con lui ho scoperto il piacere di vivere l’atmosfera allegra e festosa dei locali tipici sivigliani in compagnia di una birra fresca e qualche fettina di prosciutto.
In quelle occasioni ho capito che il Patanegra non è solo un prosciutto, ma unisce i cuori perché è cultura, è tradizione, è arte…
Quel cuore batte ancora oggi come il primo giorno e in tutti questi anni di attività (saranno 10 il prossimo) ho portato avanti l’azienda rispettando questo sentimento.
Oggi posso dire con orgoglio che tutte le persone che lavorano in Cuore iberico mettono lo stesso cuore che ho messo io dal principio.
Come è nata Cuore Iberico?
La storia di Cuore Iberico è una storia d’amore a lieto fine ma, come tutte le grandi storie d’amore, ha vissuto periodi di difficoltà.
Se dovessi sintetizzarne la parabola, farei mie le parole di un poeta bengalese che scriveva: “Bisogna avere fede nell’amore anche quando ti fa soffrire e non bisogna chiudere il proprio cuore.”.
Cuore Iberico è nata insieme al mio secondo figlio Pablo, verso la fine dell’anno 2012, non senza aver vissuto una lunga e complessa gestazione.
Quando conobbi mia moglie Emi, durante il mio primo viaggio in terra spagnola e fresco di laurea, il primo grande desiderio fu quello di dare stabilità alla nostra relazione. Allo stesso tempo però avvertivo a livello individuale una forte spinta a costruirmi una vita lavorativa che mi facesse brillare gli occhi, che mi facesse sentire vivo ogni giorno. Desideravo un lavoro che mi fornisse stimoli e che mi permettesse di imparare e crescere ma anche di esprimermi e di evolvermi e contemporaneamente mi garantisse quella stabilità economica utile a trasformare il “noi coppia” in un “noi famiglia”.
Per i primi anni mi divisi tra Spagna e Italia in cerca di un lavoro che avesse quel qualcosa di magico che percepivo come scintilla nella mia mente: mi sembrava naturale che, con una laurea in matematica, la carriera in azienda potesse rappresentare la strada giusta. Così, dopo alcuni anni e svariati cambi lavoro, approdai a quella dimensione che di solito fa sentire le persone “arrivate”. Intorno al 2006, dopo circa 6/7 anni di nomadismo lavorativo, ero un manager affermato in una grande multinazionale italiana: avevo una casa, una moglie ed ero in procinto di diventare padre.
Eppure quella scintilla non aveva acceso alcun fuoco di passione. Era ancora lì, nella mia testa: non era stata capace di alimentare fiamme alte ma, allo stesso tempo, non si era spenta.
Continuavo a cercare un’idea da sviluppare nel ramo delle nuove tecnologie, combinando le mie competenze tecniche in ambito della logistica industriale, acquisite in anni di lavoro, con la mia formazione in matematica.
Ero a caccia di una fortunata intuizione, una strada maestra, ma non mi ero ancora reso conto che la cercavo in un mondo che non mi regalava emozioni.
Mortificato dal fatto di non essere in grado di partorire un’idea brillante e frustrato dal pensiero di dover continuare per tutta la vita ad inseguire un sogno nel cassetto senza neppure capire di quale sogno si trattasse, iniziai a scavare più nel profondo, focalizzandomi sulle cose semplici e genuine e lasciando perdere mondi complessi.
Un giorno presi carta e penna e cercai di rispondere a 3 domande.
- Che cosa vuoi fare? “L’imprenditore.”.
- Quale mondo ti appassiona veramente? “Quello del cibo.”.
- Cosa ti renderebbe felice? “Avvicinare l’Italia e la Spagna, rendere più unita la mia famiglia. Far sì che Emi senta meno la nostalgia per la sua terra.”.
Queste 3 domande delineavano un perimetro che finalmente mi sembrava avere una forma… la forma di un cuore.
Era l’inizio del 2012, il mio secondo figlio Pablo era appena stato concepito così come la forma embrionale di Cuore Iberico.
Insomma, aver avuto l’intuizione mi sembrava già di per sé un grande traguardo, ma non avevo ancora fatto i conti con la realtà delle cose. Stava per nascere il mio secondo figlio e quel sogno che tanto mi affascinava metteva a repentaglio le basi solide su cui di norma si costruisce una famiglia: la sicurezza economica.
Avevo preso molti contatti nei mesi precedenti la sua nascita, avevo cominciato a studiare, a cercare, ad approfondire. Ricordo che per acquistare i primi prosciutti da un piccolo artigiano di Salamanca dovetti persino a vendere alcuni gioielli che mi aveva lasciato in eredità mia nonna.
Ero davvero diviso tra sogni e realtà…ma poi accadde qualcosa di magico, di unico, di forte: la nascita di Pablo nel settembre del 2012 mi aprì gli occhi, mi diede energia, mi illuminò la strada. Qualche anno, nel 2017, li portai tutti in Spagna e lì presi per mano, con convinzione e fiducia, questa nuova avventura.
Come si è sviluppata nel tempo?
Cuore Iberico è cresciuta letteralmente “a fuego lento”, non tanto perché il progetto non fosse sufficientemente interessante o perché il mercato non fosse abbastanza pronto per certi prodotti, bensì perché non disponevo di risorse economiche iniziali per poter partire subito con molta forza.
Il trasferimento in Spagna determinò un vantaggio in relazione alla ricerca e alla selezione dei prodotti perché mi permise di prendermi cura dei rapporti coi fornitori e di iniziare il percorso di creazione di una “base” spagnola per tutta la nostra filiera di distribuzione, l’attuale Sabortour.
D’altra parte però rallentò molto l’evoluzione di Cuore Iberico in Italia perché mi obbligò a dividere le risorse disponibili tra i due paesi.
Una cosa, devo dire, avevo chiara sin dall’inizio: volevo creare qualcosa di speciale. Sapevo che mi sarei dedicato alla distribuzione di prodotti alimentari gourmet, ma non volevo che il mio progetto si riducesse soltanto a questo.
Ambivo a creare del valore attorno al progetto, volevo portare un pezzo di autentica Spagna in Italia, la sua gastronomia, la sua cultura, sognavo di creare intorno a questo mondo un marchio di profonda autenticità.
Per i primi cinque anni mi dedicai esclusivamente alla distribuzione B2B, al fine di creare una base solida ed una struttura aziendale. Nel 2017 aprii le porte al consumatore finale attraverso la vendita online e infine, nel 2020, ho dato vita ad un punto vendita nella mia città natale, Treviso.
Oggi coesistono due realtà: Cuore iberico Srl in Italia e Sabortour Distribuciones, S.L. in Spagna.
Sabortour è la base da dove tutto parte: la ricerca e la selezione dei prodotti, la logistica, la direzione generale dell’intero progetto.
Non è affatto un azzardo dire che oggi il progetto Cuore iberico è qualcosa di unico e senza eguali in Europa. È autentico perché tutto viene seguito e controllato direttamente in loco, in Spagna e, visto che trattiamo eccellenze eno-gastronomiche spagnole, questo aspetto non è per nulla banale.
In tutta onestà credo sia questo il nostro vero punto di forza rispetto alla concorrenza, una concorrenza che spesso è composta da varie tipologie di aziende alcune delle quali anche molto grandi ed affermate, ma che altrettanto spesso manca di profonda specializzazione.
Possiamo dire che nella nicchia di mercato in cui operiamo, fascia molto piccola e di alto livello, siamo i numeri uno in Italia.